ROMA – La gara Monti ha accumulato oltre 30 rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia Europea da parte di autorità giudiziarie italiane, tra cui la Corte di Cassazione, in procedimenti relativi a centri collegati a Stanleybet. “Anche ieri il Gip di Frosinone in un procedimento a carico di un centro Stanleybet ha sollevato dubbi interpretativi e ha trasmesso gli atti alla Corte UE: credo sia un dato su cui riflettere. Tale ennesimo rinvio dimostra che la questione della cessione gratuita della rete non è irrilevante”, commenta Daniela Agnello, legale del bookmaker protagonista dell’udienza pubblica che si è tenuta in Lussemburgo qualche giorno fa. “L’unico rimedio per sanare la discriminazione è una nuova gara a condizioni paritarie, senza indebiti vantaggi concorrenziali per i concessionari storici”, aggiunge la Agnello ricostruendo quanto accaduto davanti ai giudici comunitari: “Si è ripetuto un vivace scontro tra le posizioni di Stanleybet e del Governo italiano. Senza esprimere o anticipare giudizi, vorrei sottolineare che la Commissione Ue ha definito le norme sulla devoluzione gratuita della rete a fine concessione (inserita nelle convenzioni dei giochi pubblici, ndr) come una clausola ’particolarmente restrittiva con consistenti implicazioni economiche’”.
Stanleybet, spiega il legale, ritiene che la clausola abbia un’applicazione automatica a fine licenza (anche se il Governo italiano ha sostenuto che non è mai stata applicata), impedisce all’operatore di utilizzare i beni in altri settori produttivi e riguarda beni di valore non ancora ammortizzati: “Un decreto ministeriale del 1988 stabilisce che il periodo di ammortamento della strumentazione tecnologica è di cinque anni. Il punto è che la concessione Monti dura poco più di tre anni, contro i dodici concessi ai concessionari storici. E a chi dice che si tratta di strumentazioni di poco valore, consiglio di rileggere le regole tecniche della concessione, che fissano i requisiti minimi di un punto vendita: almeno 3 terminali di gioco, 10 monitor, 5 televisori, una postazione Pos, e altro con un costo medio compreso tra 15 e 20 mila euro, addirittura superiore all’investimento per l’acquisto del diritto in gara”. La cessione gratuita dei beni diventa nei fatti una confisca, sottolinea ancora il legale, senza che ci sia mai stata una sentenza definitiva di un tribunale e in assenza di parametri e regole predefinite: “L’Amministrazione si è riservato un potere discrezionale che può esercitare quando, dove e come vuole. Stanley, che intendeva acquisire almeno mille punti vendita, si è trovata così nella impossibilità di partecipare ad una gara in cui sarebbe stata certa la decadenza delle concessioni, la perdita delle garanzie prestate e la confisca dei beni in dotazione ai punti vendita”, conclude. NT/Agipro
Pubblicato il 22/09/2015 alle 14:32
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