Anche tassare i bookmaker esteri può essere discriminatorio.
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Anche tassare i bookmaker esteri può essere discriminatorio.

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Finisce di fronte alla Corte di Giustizia Europea un’altra norma ideata per contrastare gli operatori senza concessione, quella che impone il pagamento del prelievo anche ai centri trasmissione dati e ai bookmaker esteri. A inviare le carte in Lussemburgo è stata la Commissione Tributaria Regionale di Milano, affrontando un ricorso intentato dalla Stanley. La norma, che è stata introdotta con la Stabilità del 2011, in sostanza prevede che a ctd e bookmaker possa essere chiesto il pagamento del prelievo sulle scommesse che hanno raccolto in Italia. Ricevitorie e compagnia madre sono responsabili in solido, vale a dire che lo Stato può chiedere alle une o all’altra il pagamento dell’intera cifra. Gli operatori paralleli ovviamente hanno subito impugnato le cartelle esattoriali di fronte alle Commissioni Tributarie e ne è nata una giurisprudenza altalenante. Il più delle volte, i giudici hanno accolto le ragioni dell’Amministrazione, ma anche i bookmaker hanno riscosso numerosi successi, la Stanley da sola conta ben 43 sentenze favorevoli. In questi casi le Commissioni Tributarie «hanno riconosciuto che il ctd non gestisce le scommesse, ma si limita ad effettuare un servizio transfrontaliero, si limita a trasmettere le prenotazioni di giocate verso il bookmaker e non si assume il rischio dell’attività economica delle scommesse», ci spiega Daniela Agnello, l’avvocato che da anni cura la difesa del bookmaker anglomaltese. Una divisione dei ruoli, peraltro, che già era stata messa in evidenza sia dalla Cassazione in sede penale, sia dal Consiglio di Stato in quella amministrativa. Insomma, sebbene «l’organizzazione, la raccolta e l’accettazione delle scommesse vengono esercitate in via esclusiva e autonoma dal bookmaker», la norma colpisce le ricevitorie. Con effetti spesso spropositati: «Il titolare della ricevitoria guadagna una provvigione che è inferiore all’imposta pretesa negli accertamenti fiscali», puntualizza ancora la Agnello. Oltretutto, «il servizio transfrontaliero effettuato dalla ricevitoria Stanley è già sottoposto a tassazione»: il ctd comunque paga le normali imposte sulla provvigione che percepisce. Ma secondo il bookmaker anglomaltese, la questione rimessa ai giudici comunitari non si esaurisce qui: occorrerà «verificare la compatibilità dell’Imposta unica italiana, che colpisce anche Stanley quale bookmaker comunitario che già assolve all’imposta caratteristica in un altro Stato Membro, con le libertà “di stabilimento” e “di prestazione di servizi” sancite dal Trattato e con i principi di non discriminazione». In altre parole, questa norma, oltre a vessare i ricevitori, finirebbe anche per discriminare i bookmaker: «Stanley è trattata in modo meno favorevole dei concessionari nazionali che sono assoggettati unicamente all’imposta unica con la possibilità di traslarla sugli scommettitori».

E la Agnello, interpellata da TS, spiega che «Stanley paga le tasse a Malta, Paese che ha rilasciato la licenza, e nel Regno Unito, dove ha sede il management». Al pari delle compagnie estere che hanno ottenuto la concessione in Italia, o di quelle italiane che hanno spostato la residenza fiscale all’estero. «I contrasti esistenti anche in sede tributaria trovano origine nelle preclusioni e discriminazioni subite da Stanley nell’accesso al sistema concessorio italiano così come statuito dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria per ben 15 anni», ribatte la Agnello.

(Gioel Rigido – TS Totoguida Scommesse)

 

 

 

 

 

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