di Giampiero Moncada
A quasi un anno dal suo coinvolgimento in una delle più grosse operazioni contro il gioco illegale, la società maltese UniqGroup è stata portata all’attenzione della Corte di Giustizia Europea per un procedimento che era stato avviato tempo prima e che riguarda la legittimità della raccolta in assenza di concessione. Insomma, l’ormai consueta diatriba sulla legittimità dei bandi italiani per la concessione di scommesse e, nel caso specifico, sull’esclusione di questa società dalla gara. Il rinvio alla CGE è stato fatto dal tribunale di Reggio Calabria che avrebbe dovuto giudicare la vicenda di un titolare di CTD (Centro Trasmissione Dati), Domenico Politanò, accusato di «avere raccolto scommesse in assenza di autorizzazione o licenza per conto di un allibratore straniero». La licenza di pubblica sicurezza non era stata concessa perché mancava la concessione. E la concessione non c’era perché il bookmaker era stato escluso dalla gara, nonostante avesse presentato regolare domanda, per ragioni che lo stesso bookmaker considera discriminatorie. In cosa consisteva la presunta discriminazione? La richiesta di un’attestazione che certificasse la capacità economico finanziaria sottoscritta da due diversi istituti bancari, oltre alla mancanza di una indicazione circostanziata della capacità finanziaria richiesta.
Secondo i legali della compagnia, questi requisiti sarebbero discriminatori nei confronti di una società straniera perché i sistemi di due diversi Paesi comunitari non sono omologabili: «Il giudice del rinvio chiede se, trattandosi di selezione a livello comunitario, ove si fossero messi a confronto operatori di gioco appartenenti a Paesi deiversi, dovesse essere rispettato il principio scaturente dalla direttiva 2004/18/CE sugli appalti pubblici, che sancisce, di base, tre autonomi criteri per la valutazione della capacità economico-finanziaria, oltre che un rimedio residuale mediante qualsiasi altro documento considerato idoneo dall’amministrazione aggiudicatrice».
Daniela Agnello, legale della BetuniQ, ha scritto in una nota: «Abbiamo due Stati: Malta, con una rigida prassi bancaria, e l’Italia, che si ostina a non offrire ragionevoli alternative alle doppie referenze bancarie non prevedendo un elemento di flessibilità e, per l’effetto, causano l’esclusione dell’operatore dalla gara. La difesa, a seguito delle numerose domande formulate dal Relatore e dall’Avvocato Generale, ha ampiamente risposto evidenziando la necessità di capire quale modello di Europa si vuole realizzare: l’Europa della burocrazia e dei formalismi, o un’Europa che non perde occasione per superare le barriere tra gli Stati e integrare nuovi principi tra materie armonizzate e materie non armonizzate: appalti, concessioni e giochi. Escludere da una gara un soggetto che non può ricorrere alle referenze bancarie per giustificati motivi, laddove esistevano altri strumenti idonei, va oltre quanto necessario per garantire l’affidabilità economica di un partecipante alla selezione e viola il principio di proporzionalità. La normativa italiana non ha fornito criteri oggettivi e noti in anticipo per la redazione delle referenze bancarie e ha attribuito un potere illimitato all’Amministrazione nella valutazione di tali referenze. Non ha rispettato, l’obbligo di trasparenza, quale corollario del principio della parità di trattamento, con conseguente violazione del principio di effettività». L’Avvocato Generale Nils Whal ha annunciato che presenterà il 16 giugno prossimo le sue conclusioni. Quindi si può prevedere che la sentenza della Corte arriverà tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. (La Scommessa TS)
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